L’ex-CEO ATP Kermode: “Non credo che la PTPA di Djokovic avrà grande impatto”

L’accantonamento di Chris Kermode da parte del Board ATP dopo sette anni alla guida dell’associazione è stato uno degli eventi più sorprendenti di inizio 2019 nel mondo del tennis, soprattutto considerando il suo ruolino di marcia tutto sommato piuttosto positivo. E quando il nuovo leader Andrea Gaudenzi si è trovato dopo sole poche settimane a gestire la più grande crisi che lo sport abbia mai affrontato nella sua storia, tanti hanno pensato che forse per Kermode il mancato rinnovo del contratto è stata più una benedizione che altro.

Ora che questo incredibile 2020 sta volgendo al termine, il podcast anglofono “The Tennis Podcast” è andato a raccogliere le impressioni di Kermode su questa annata e sul tennis che sarà.

È stato un onore guidare l’ATP – ha esordito l’ex CEO dell’ATP al microfono di David Law, capo ufficio stampa di quel torneo del Queen’s, del quale proprio Kermode è stato il direttore fino al 2013 – ci sono stati momenti molto stressanti, ma è stato bello aver avuto l’opportunità di guidare uno sport mondiale”.

“I numeri sono molto buoni e ne sono orgoglioso, il fatturato è cresciuto da 97 milioni di dollari nel 2013 fino a 150 milioni nel 2018, il prize money è salito del da 85 a 135 milioni [nello stesso periodo], e il numero dei giocatori che hanno guadagnato più di un milione di dollari è aumentato del 90%”.

La crescita vera è stata però quella dei guadagni per i giocatori tra il n. 50 e il 100, cresciuti del 69%, e quella per i tennisti tra il n. 150 e 200, aumentati del 65%. Quindi c’è stata una redistribuzione di denaro ai giocatori di classifica più bassa, oltre a un aumento del 60% del fondo pensione”.

Perché te ne sei andato?

Il ruolo che avevo era molto politico. Credo molto nell’ATP, penso che come organizzazione funzioni. È uno dei pochi sporti nei quali i giocatori e i tornei hanno una voce nel loro sport, quotidianamente. Negli sport americani ci sono i “Collective Bargaining Agreement” [gli accordi collettivi n.d.r.], ci si ritrova e si litiga una volta ogni tanto e poi non ci si parla più per anni.
Le decisioni prese per il 98% sono state all’unanimità. Poi altre volte mi sono trovato in mezzo tra i tornei e i giocatori, ma fa parte del ruolo. Ci sono stati 350 voti durante la mia presidenza, e solo 8 hanno avuto bisogno del mio voto decisivo. Sette su otto sono stati decisi a vantaggio dei giocatori. Sono stato il primo CEO a decidere per l’aumento del prize money, il più grande nella storia del Tour.
Se c’è una debolezza nel sistema è che ogni tanto la politica prende il sopravvento sulla volontà di migliorare il gioco. Credo che la struttura funzioni, quindi si tratta di trovare le persone giuste per far crescere lo sport
”.

Se fossi stato confermato, cosa avresti voluto fare nel ciclo successivo?

Avrei voluto trovare la formula giusta per il prize money. Siamo riusciti a trovare la quadratura del cerchio per i 500, avrei voluto trovare lo stesso equilibrio nei 250 e nei 1000. Credo che comunque questo equilibrio arriverà, rendendo il business più facile da guidare.
Eravamo nelle fasi iniziali delle NextGen Finals, siamo uno dei pochi sport che guarda in maniera seria ai giovani e ai possibili cambiamenti del gioco. Sapevamo che non tutto quello che era stato sperimentato in quella manifestazione sarebbe poi stato ratificato nel tennis dell’ATP Tour, ma almeno ci siamo posti le domande.
Ho lanciato la ATP Cup: i giocatori volevano nuovi eventi, e la ATP Cup ha portato 15 milioni ai giocatori. E inoltre era un modo per aprire in maniera giusta il calendario. Guardando gli ascolti televisivi, i numeri cominciavano a salire solo a partire da Indian Wells, e dovevamo trovare un modo per iniziare con un bang per poter trascinare l’interesse in gennaio e febbraio. L’ATP Cup è entrata in questa ottica
”.

Avevi detto che sarebbe stato folle avere Coppa Davis e ATP Cup nel giro di 6 settimane?

Sono ancora dello stesso avviso. Ma in ogni sport quando si fanno grandi cambiamenti si vanno a disturbare equilibri che porteranno alcuni a difendere il proprio territorio. Di solito però, dopo alcuni anni si trova un accordo e si arriva a stabilire un nuovo equilibrio. È un po’ come una Brexit in miniatura. Sono sicuro che prima o poi la situazione cambierà, non so come, ma credo che nel giro di qualche anno si troverà una soluzione. Credo davvero che l’evento si debba giocare all’inizio dell’anno, perché i giocatori sono freschi e non ci sono effetti collaterali sugli altri eventi. Metterlo in mezzo al calendario è inevitabile che vada a cozzare con qualche altro torneo, e alla fine della stagione i giocatori sono troppo stanchi e si va a ridurre il periodo di off-season.
Abbiamo parlato per diversi anni con Gerard Piquè, volevamo lavorare insieme e quando non abbiamo trovato un accordo lui è andato all’ITF. Avere la “coppa del mondo” alla fine della stagione nel tennis non funziona con tutto quello che viene disputato durante la stagione
”.

Cosa avresti fatto durante la pandemia come CEO dell’ATP?

Non ci ho pensato in realtà. Mi dispiace molto per Andrea Gaudenzi, è sicuramente un anno molto difficile da affrontare all’inizio del mandato. In un periodo come questo bisogna mantenere la prospettiva giusta e considerare che stiamo parlando di tennis, che ha un’importanza relativa nell’ordine generale delle cose. Bisogna resistere, si vede la luce in fondo al tunnel, i primi sei mesi del 2021 saranno molto duri, ma credo che lo sport ne uscirà. Quando i tempi sono duri, è più facile fare cambiamenti più radicali; è invece più difficile farlo quando le cose vanno bene. Credo che ci saranno ottimi risultati dal punto di vista della coordinazione nello sport”.

Credi che sia realistico poter trovare maggiore comunità d’intenti all’interno dello sport? Volevi fare un evento combined, che non si è verificato, come credi sia possibile che tutti riescano a lavorare insieme?

Se c’è un momento in cui può accadere, è questo. Per motivi economici si troverà la maniera di collaborare”.

In febbraio Federer ha lanciato l’idea di una fusione tra ATP e WTA. Subito c’è stato parecchio supporto. Ma è realistico?

Si tratta di situazioni molto complesse, che devono superare la storia delle varie organizzazioni. Si partirà con una collaborazione molto più stretta, e da lì si svilupperanno le cose”.

Se potessi creare un calendario da zero cosa faresti?

Molto facile a dirsi, non a farsi. Sicuramente ognuno ha il suo punto di vista. In questo momento si tratta di adattarsi alla situazione, non di creare un nuovo calendario. Per entrambi i tour la cosa più difficile è la globalità del tennis, che lo pone i tornei alla mercè di una serie di governi. Tutt’altro che semplice”.

Quindi tu pensi che l’ATP Tour sia la struttura migliore per governare il tennis. Cosa hai pensato quando hai visto le foto di New York con i giocatori sul campo a formare la PTPA?

Non è la prima volta che succede. A volte capita che i giocatori vogliono una cosa, ma il Board non l’approva quindi non riescono a far succedere ciò che desiderano. Per il momento dobbiamo osservare cosa accade con la PTPA, personalmente non credo che questa iniziativa alla fine avrà un grande impatto, ma si tratta di un messaggio che deve essere ascoltato”.

Quindi non credi che i giocatori abbiano bisogno di una loro voce?

Ce l’hanno, ci sono i membri del Board, sono rappresentati in maniera appropriata. Il problema è che i bisogni del n.1 del mondo sono diversi da quelli del n. 2000, e queste due cose sono difficili da conciliare. Ma anche dalla parte dei tornei esiste questa differenza, i 1000 hanno bisogni diversi dai 250”.

Quindi non credi che il n.1 del mondo Djokovic stia perseguendo questa iniziativa per aiutare i giocatori di classifica più bassa?

Non so quali siano le intenzioni di Djokovic, non posso giudicare. Credo si debba andare molto cauti a fare delle affermazioni di carattere generale che magari sono suggerite da gente che non ha nulla a che vedere con il tennis. Mentre ero CEO una delle cose che leggevo spesso era che stessimo dedicando troppe energie ai giocatori di classifica più bassa. I numeri suggeriscono che non è vero. Per questi tennisti è sicuramente molto difficile guadagnare abbastanza da potersi mantenere, ma è anche vero che i tornei Challenger non fanno utili, quindi bisogna fare in modo che il sistema sia sostenibile. E questo apre la questione di definire cos’è un “tennista professionista”, a quale livello ciò diventa vero. Bisogna avere un sistema nel quale non sia possibile che un giocatore passi 10-15 anni sul circuito Challenger. I Challenger sono una categoria di passaggio per arrivare sul Tour, non un luogo nel quale passare tutta la carriera”.

Secondo te quale sarebbe il numero ideale di tennisti professionisti da avere?

Ne ho parlato con talmente tante persone… Il numero minimo è quello dei giocatori che partecipano alle qualificazioni degli Slam, quindi intorno al n.250, per arrivare al massimo fino al n.500. Poi magari ci può essere un altro livello di tour, magari con punti diversi da quelli ATP”.

Ci sono stati casi nei quali alcuni giocatori sono stati accusati di violenza domestica. L’ATP ha passato diverse settimane senza fare alcune dichiarazioni pubbliche in proposito, poi hanno rilasciato una dichiarazione che non ha comunque segnalato la volontà di lanciare un’investigazione interna, come spesso capita invece nelle leghe professionistiche americane.

Nelle leghe americane ci sono contratti molto precisi tra i giocatori e le leghe. Nel tennis è molto più complicato far rispettare condizioni di questo tipo, in uno sport individuale. Non credo che la PGA abbia norme di questo tipo per esempio. Nel passato si è valutato se gli eventi resi pubblici avessero danneggiato la reputazione del gioco, e in quel caso si poteva intervenire. Magari si potrebbe fare in modo che la Tennis Integrity Unit si occupi anche di queste cose”.

Cosa c’è nel tuo futuro?

Ora sono presidente della PTO, Professional Triathlon Organization, per cercare di portare il triatlon da sport con un’ampia partecipazione a disciplina con un’esposizione mediatica di più alto livello. Sono poi un consulente esterno del Montecarlo Rolex Masters, quindi sono ancora parte del mondo del tennis”.

Quali sono le ultime notizie per Montecarlo?

Rimarremo nella nostra data originale, il torneo si disputerà al 100%, dobbiamo solo aspettare le disposizioni del governo francese per sapere quante persone potremmo avere sulle tribune, perché il Monte Carlo Country Club è in Francia. Il problema è che la maggior parte delle strutture deve essere costruita da zero, e quindi bisogna prendere una decisione su cosa costruire durante il mese di gennaio, senza sapere quale potrà essere la situazione dei contagi in aprile. Nella peggiore delle ipotesi il torneo si disputerà a porte chiuse, ma in un modo o nell’altro il torneo si terrà”.