L’America e l’Euro

(free) – di Andrew Spannaus –

Sono anni che sentiamo dire che l’Euro rappresenta l’Europa, e che la moneta comune fa paura agli americani. Dunque le critiche alla BCE e alla politica economica di Bruxelles spesso provocano una risposta “patriottica” da parte di chi crede fermamente nella necessità di proseguire con la costruzione europea; gli obiettivi politici nascondono gli errori economici.

Gli eventi delle ultime settimane in relazione alla crisi greca possono aiutare a spiegare meglio la realtà della situazione: le istituzioni americane sono in realtà favorevoli all’Euro per motivi economici e geopolitici. Invece la più grande minaccia alla coesione dell’Europa è la stessa politica europea basata sull’austerità e sulle regole del cosiddetto “libero” mercato.

Di fronte all’esito del referendum greco – un raro caso di consultazione democratica in merito alla politica economica degli ultimi anni – i principali leader politici europei continuano a chiedere proposte “serie” alla Grecia, cioè che Tsipras ignori la volontà degli elettori e faccia un compromesso sulle misure di bilancio per andare incontro alle richieste di risanamento finanziario.

Ci sono tante contraddizioni dietro a questa linea dura, guidata dalla Germania di Angela Merkel: dai meccanismi dei salvataggi utilizzati per salvare le banche francesi e tedesche, alla comoda dimenticanza storica della cancellazione del debito tedesco da parte di numerosi paesi europei nel 1953, compresa la Grecia.

Ma la contraddizione più grossa riguarda gli interessi strategici intorno all’Euro. A differenza di chi vede il percorso di unificazione economica europea come il modo di diventare sempre più forti, vediamo invece che la politica attuale – che, si badi bene, non è coerente con i valori storici dei paesi del continente – crea sempre più divisioni: è tarata sugli interessi di un élite che non si cura del benessere diffuso dei paesi membri, ma piuttosto mira al controllo politico da parte di pochi.

Dall’altra parte dell’oceano un’Europa basata sull’austerità e sul sostanziale divieto degli investimenti produttivi non può certamente far paura. Anzi, c’è una comunanza di intenti tra le élite finanziarie delle piazze finanziarie occidentali, che vedono nelle regole di bilancio il modo di limitare i margini di autonomia della politica.

Gli Usa suggeriscono che l’ FMI e l’Eurogruppo siano più flessibili con la Grecia, per evitare che si spacchi l’Europa. In cima alle preoccupazioni ci sono i rapporti europei con la Russia, in quanto una rottura sul fronte occidentale potrebbe provocare l’avvicinamento dei paesi più deboli alle potenze dei Brics. La Merkel e i suoi seguaci invece, sembrano quasi invitare questo cambiamento geopolitico, ma più per ottusità che per strategia.

La soluzione migliore sarebbe di rivedere la nostra politica economica degli ultimi decenni, invece di difendere gli errori che fanno il gioco di chi pensa più al proprio potere che al benessere della gente.

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