Egitto, l’ex presidente Morsi condannato a 20 anni

“Il ricorso alla violenza” contro i manifestanti del 5 dicembre 2012 costa caro all’ex capo di Stato. Più tragica la sorte per l’ex leader della Fratellanza Musulmana, punito con la pena capitale. Amnesty Internazional e altre organizzazioni denunciano falle evidenti nel sistema giudiziario egiziano.

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Condanna a 20 anni di carcere per il “ricorso alla violenza” contro i manifestanti, morti il 5 dicembre 2012 in occasione delle sommosse davanti alla residenza presidenziale. Questa la sentenza di primo grado della Corte d’Assise del Cairo nei confronti dell’ex presidente dell’Egitto Mohamed Morsi (destituito nel 2013). La sentenza, letta sulla televisione nazionale, riguarda anche altri 12 imputati appartenenti ai Fratelli Musulmani. Caduta, invece, l’accusa di omicidio e, di conseguenza, il ricorso alla pena di morte, almeno per il momento.

Sorte peggiore, invece, per il leader della Fratellanza Musulmana Mohamed Badie e 14 dirigenti del movimento sunnita. Il Tribunale del Cairo ha confermato per loro la condanna a morte, dopo il parere del Gran Muftì, per incitamento e ricorso alla violenza contro le istituzioni dello Stato.

Questa escalation giudiziaria non è tuttavia passata inosservata ad organizzazioni internazionali come Amnesty International, la quale ha denunciato le troppe condanne a morte emesse in special modo dal giugno 2014, quando Abdel Fattah Al-Sisi è salito al potere al termine della “Rivoluzione Religiosa”. L’eliminazione degli avversari politici e l’aumento della violenza nel Paese sembrano attestare l’attuale regime egiziano ad un grado di durezza maggiore rispetto a quello di Mubarak. Mentre gli interventi militari il Libia prima e in Yemen poi lanciano un’ombra inquietante aldilà dei confini nazionali stessi.
Giacomo Pratali

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