A MELBOURNE TUTTO SA DI TENNIS

MELBOURNE – Tornare in Australia è ogni anno una nuova emozione. Perché è una terra lontanissima dall’Europa, un altro mondo… Parti nel pieno dell’inverno di casa nostra e ti ritrovi catapultato nel caldo torrido dell’estate australe. Per chi come me ama il tennis è poi bellissimo osservare Melbourne che si prepara all’evento degli Australian Open. Atterri all’aeroporto dove sei accolto da grandi cartelloni che pubblicizzano il primo Slam della stagione. Arrivi in città e tutto sa di tennis, dei suoi protagonisti. Elizabeth Street è la lunga e bella strada alberata che dall’albergo porta alla Flinders Station: non c’è negozio o ristorante o locale che non abbia un riferimento al torneo. Fino allo scorso anno era tutto arancione e nero, i colori ufficiali del torneo. Da quest’anno si è passato al blu turchese: la città ne è tappezzata. E’ infatti cambiato il colore dei campi di gioco: due tonalità di blu (molto chic) che hanno sostituito il verde del passato. Dappertutto ci sono gigantografie dei big più acclamati, da Federer a Nadal, dalla Sharapova alla Henin. Attraversi la piazza di fronte alla Flinders Station e sei nel verde di Melbourne Park che accoglie lo splendido complesso tennistico. Di lato c’è lo Yarra, il fiume che attraversa la città. Uno spettacolo. Wimbledon è la tradizione del tennis stile british, il Roland Garros è l’eleganza che rispecchia la grandeur tipicamente francese, gli US Open sono la festa, musica a palla e lustrini. Gli Australian Open sono la libertà, i grandi spazi. Per gli aussie il tennis è quasi una religione. Un retaggio dei grandi del passato, da Laver a Rosewall, da Newcombe a Emerson, da Roche a Stolle e alla Court. Qui non vedono l’ora che si cominci. Un solo cruccio: è una vita che il titolo maschile non resta in casa. Per la precisione dal 1976, quando il baffuto Mark Edmondson sorprese tutti. Da allora solo delusioni. Anno dopo anno si continua a sperare in Lleyton Hewitt, poco amato pure in patria, per il suo stile tanto diverso dai campioni del passato, che da qualche mese si è affidato proprio ad uno di questi miti. Si tratta di Tony Roche, ex coach di Federer. Sembrava che gli organizzatori volessero dargli una mano. Il campione locale negli ultimi anni si era lamentato della superficie utilizzata a Melbourne Park: lento, secondo Lleyton, il bollente rebound ace sul quale la pallina aveva rimbalzi troppo alti. Si è passato al plexicushion, un materiale acrilico sul tipo di quello usato agli US Open. Sembrava tutto ok, ma Nadal dice che è uguale a quella dello scorso anno, mentre un certo Djokovic sottolinea che i campi gli sembrano addirittura più lenti. Questione di gusti…