Yarmouck: oltre 1000 giorni di terrore

Il campo profughi siriano, dal 2012 obiettivo di violenze

Erano 12 i campi profughi palestinesi allestiti in Siria e distribuiti fra Damasco, Aleppo e Homs. Quello di Yarmouk, l’enorme buco nero a 8 km dalla capitale che tutto inghiotte e ben poco restituisce, era il più grande. 160.000 i profughi accatastati in quel groviglio di costruzioni, finestre e stradine larghe appena per far transitare un uomo. Dal 2011 quei campi profughi sono un obiettivo.

Comunque si chiami l’aggressore, il risultato è una sequela infinita di orrori, inflitti e provocati. Talal Naji, Presidente dell’Associazione Palestinese di Damasco, raccontava nel gennaio 2014 che Hamas, il movimento islamico palestinese, aveva intimato ai ribelli di uscire dal campo di Yarmouk. Quello che succede in quel campo, a distanza di oltre un anno, fa raccapricciare il mondo. I media stanno definendo questa recrudescenza “una nuova Srebrenica”, accorgendosi come sempre in ritardo, ma in tempismo perfetto per cavalcare l’audience, di quanto la sofferenza permei quelle mura. “A Homs i nostri profughi sono riusciti a proteggersi, armati di bastoni e sassi – raccontava un anno fa Talal Naji. A Daraa le cose erano andate in modo diverso. In quel campo, i 12.000 profughi, i primi ad essere colpiti nel 2011, sono stati costretti ad uscire mentre alle loro spalle i pochi averi accumulati venivano depredati e distrutti.

L’orda terrorista è avanzata ancora un pò verso nord, mietendo un altro campo da 6.500 profughi. E poi altri, fino a Yarmouck. “Abbiamo provato a proteggerlo nonostante i continui tentativi dei ribelli di entrare – raccontava. “Poi nel dicembre del 2012 la nostra resistenza è stata spazzata via. I ribelli sono entrati, hanno distrutto le case, rubato tutto quello che era possibile portare via. Hanno tolto le finestre, i fili elettrici, tutto, anche le piastrelle. Hanno ucciso. E violentato le donne. Per questo in tanti sono fuggiti. Dei 160.000 palestinesi che vi abitavano un tempo, ne sono rimasti 20.000”. I più fortunati sono riusciti a trovare rifugio nelle scuole trasformate in campi di accoglienza temporanei, altri sono andati in Libano, Egitto, Gaza, Giordania ed anche Europa.

Dopo vari tentativi di liberare il campo attraverso l’utilizzo di vie diplomatiche che hanno coinvolto anche Hamas, nell’agosto del 2013, è  stato deciso l’intervento della forza armata da parte del Movimento popolare di liberazione dei campi palestinese. “Siamo riusciti a far uscire un 30% di ribelli. Poi ci siamo fermati su richiesta dei profughi per evitare altri spargimenti di sangue. Alcuni gruppi di Abu Mazen ci hanno sostenuto mentre il governo siriano ha accettato di inviare alimenti all’interno del campo. Ma gli aiuti sono stati fermati dai ribelli”. Il termine ribelli all’epoca includeva una serie di identità, cellule di Al Qaeda, prime espressioni di Daesh-Isis, frange di eserciti liberi come i Leoni Siriani o i seguaci armati di Eben Taimia.

Nel frattempo i profughi hanno iniziato a morire anche per fame. Cinquanta fino al gennaio dello scorso anno. Lo strozzinaggio applicato sui beni alimentari ne moltiplicava il prezzo fino al 150%. Una confezione di pane costa 15 lire siriane. Dentro al campo ne poteva costare anche 2.500. Alle morti per stenti si aggiungevano quelle violente. Chi non era riuscito a fuggire era intrappolato e diviso dall’esterno da un muro invisibile ma più impenetrabile di qualsiasi barriera. Un punto di primo soccorso era allestito con tre letti e pochissimi medicinali, in fondo ad una scala che conduce ad uno scantinato. Insufficiente per rispondere anche a poche richieste di aiuto.

Emmammar è riuscita a scappare dalla sua casa di Yarmouck quando i ribelli sono entrati. “Abbiamo preso i vestiti e siamo fuggiti. Vivevamo lì da due generazioni. Non abbiamo visto chi erano e da dove arrivassero gli spari. Quando li abbiamo sentiti  siamo scesi subito in strada. I passaggi erano ancora aperti – continua. “Ci siamo lasciati tutto alle spalle. E’ impossibile tornare”.  Dopo Yarmouck, Emmammar aveva trovato rifiuto a Sumaja, campo di accoglienza allestito  a Ovest di Damasco nei locali di una ex scuola, dove nel gennaio 2014 vivevano 229 persone, 44 famiglie in tutto, in spazi angusti ma sufficienti in attesa di condizioni migliori. Ora Yarmouck vive nuove stragi, nuovi orrori, che non si sono interrotti da almeno tre anni a questa parte. Oltre 1.000 giorni di paura, ansia, terrore. Continuo e implacabile.

 

Monia Savioli