Accordi Al Qaeda-Usa: rispunta il fantasma del Mullah Omar

Si torna a parlare di una vecchia conoscenza, il Mullah Mohammad Omar. Il capo spirituale di Al Quaeda che Tolo tv, l’emittente afghana, dichiarò morto – per poi smentire la notizia – nel 2011 per mano pakistana riemerge dall’oblio in occasione dei tentativi di arrangiare i negoziati di pace fra talebani e Stati Uniti in Qatar. L’evento, annunciato da una fonte del movimento islamista, riconosce al Mullah Omar un ruolo ancora determinante nella definizione degli accordi che potrebbero già vedere la luce entro pochi giorni, nel mese di marzo. Islamabad, Kabul, Pechino o Dubai sono le città candidate ad assumere il ruolo di quello che potrebbe diventare il negoziato del secolo, a chiusura del lungo percorso che dal 2001 ha visto opporre la forza armata internazionale alla comunità talebana in Afghanistan.

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Al Qaeda, oggi guidata da Ayman al Zawahiri, ha subito negli ultimi anni la mancanza di un potere organizzativo forte spaccandosi in mille rivoli. Insicurezze e precarietà sono state utilizzate dai seguaci dell’Isis – che ancora in Afghanistan rappresenta una debole presenza – per potersi infiltrare e accusare Al Qaeda di non essere sufficientemente in linea con la corretta dottrina jihadista, applicata al contrario, dal Califfato di Abu Bakr al Baghdadi. Le posizioni di Isis a questo proposito sono riassunte nel sesto numero di Dabiq, la rivista on line dello Stato islamico in lingua araba. Nell’articolo dal titolo “al Qaeda di al Zawahiri e la saggezza perduta dello Yemen”, i terroristi dubitano fortemente dell’esistenza in vita del Mullah Omar ritenuto da molti combattenti arabi provenienti dall’Afghanistan, morto o catturato. E criticano pesantemente il movimento di Al Zawahiri, reo di non aver “mai lanciato anatemi contro gli sciiti in Iraq”.

Dell’esistenza del Mullah Omar ha invece ricominciato a parlare una fonte diplomatica che da Kabul sottolinea come l’esito dei negoziati di pace con gli Usa “dipendera’ dal leader talebano, il Mullah Mohammad Omar”, impegnato, pare, in queste ore a consultare la leadership talebana. Intanto la presenza armata statunitense che oggi in Afghanistan impiega circa 10.000 soldati (altri 3.000 sono i militari forniti dalle nazioni partner della Nato) sarà ridimensionata ulteriormente nei prossimi mesi fino a d arrivare a circa la metà entro la fine del 2015. Una decisione, paventata dal Presidente Obama, che in realtà ha suscitato le preoccupazioni del Presidente afghano Ashraf Ghani preoccupato dell’arrivo, con l’estate, della stagione più pericolosa.

La recrudescenza ciclica, nei mesi estivi, degli attacchi terroristici talebani metterebbe a dura prova infatti la capacità di risposta delle forze afghane in parte “orfane” dell’assistenza fornita dalla coalizione. Obama quindi starebbe valutando la possibilità di un rientro meno traumatico anche per evitare che possano crearsi parallelismi con l’Iraq dove la rapida rimozione delle forze nel 2011 ha fatto ripiombare di fatto il paese nella destabilizzazione e soprattutto si possano aprire quei vuoti utili alle infiltrazioni delle frange terroriste.

Monia Savioli

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