LETTERA APERTA DI SCANAGATTA

Ubaldo Scanagatta mi invia questa sua lettera aperta, indirizzata ai giocatori italiani di vertice, e mi invita a pubblicarla sul sito della FIT. Sono lieto di accontentarlo, naturalmente premettendo che, più sotto, dirò la mia

“Per favore smettetela di dire, o anche solo di pensare, che ce l’abbiamo con voi.
E’ finito un altro Slam e come sapete anche voi non è che il tennis italiano, qui in Australia, abbia brillato. Purtroppo negli Slam è una storia che si ripete. Da 30 anni, da Barazzutti ultimo semifinalista (a Parigi) nel 1978. Il nostri ultimo top-ten? Sempre Barazzutti, sempre 1978. Una donna top-ten? Mai avuta. Eppure ce ne sono state un centinaio delle nazioni più disparate e…disperate, dal 1973 a oggi. E prima.
Tante generazioni di tennisti si sono succedute, ma questo problema dei giornalisti cattivi con i giocatori italiani, si è riprodotto immancabilmente anno dopo anno.
Prima non si viveva in mondi così separati, il Club Italia da una parte, i giornalisti dall’altra. Capitava di uscire a cena insieme, di vedersi spesso. Le reciproche incomprensioni si appianavano più rapidamente, anche se non è mai mancato chi soffiasse sul fuoco.
Non è colpa vostra che siete i migliori d’Italia, quindi già molto più bravi di tantissimi, se non vincete di più. Non è facile arrivare dove siete arrivati voi. Lo sappiamo noi, lo sa la gente, lo sanno ancor meglio quelli che ci hanno provato e non ci sono riusciti.
Non è colpa vostra nemmeno se giocatori di altri Paesi ottengono risultati migliori.
Ma non è colpa neppur di noi giornalisti, inviati agli Slam dalle nostre testate giornalistiche per stendere anche bilanci comparati.
I lettori non si spiegano facilmente come mai in altri sport gli atleti italiani eccellono e nel tennis invece no.
Una volta Alberto Tomba sedeva accanto a me. Seguiva la finale junior di Andrea Gaudenzi con Enqvist al Roland Garros. Albertone trasalì quando io gli dissi: “Speriamo che un giorno Andrea riesca a salire fra i primi 20 delle classifiche mondiali…”.
“Primi 20 soltanto? Ma sarebbe un disastro! _ replicò e proseguì _ Nel tennis sento dire che arrivare fra i primi 100 è un traguardo…Ma se io fossi stato lo sciatore n.100 del mondo mi sarebbe venuta una depressione cronica e avrei smesso di sciare! Ok il tennis è praticato da molte più nazioni, molta più gente, ma insomma via…diventare il n.100 non può essere così difficile. E negli altri sport allora?”
Forse Tomba, estroverso guascone, esagerava.
Ma non esagero io, invece, quando dico che è una storia che si ripete ad ogni Slam, purtroppo, quella che i giornalisti _ chi più chi meno _ sarebbero più o meno sadicamente contenti delle vostre sconfitte. Che alcuni, addirittura, vi farebbero il tifo contro, soltanto per il gusto (?) di poter parlar male di voi…Saremmo gelosi dei vostri successi di fama e di soldi o frustrati per non aver colto gli stessi risultati da ex atleti.
Tesi mostruosamente assurde.
Provate ad immaginare che cosa significhi per un giornalista scrivere di uno sport che va in prima pagina per le vittorie dei suoi atleti anziché nelle “brevi” per le sconfitte. Quanto sia più facile essere inviato a seguire una gara di un Valentino Rossi, di una Ferrari, di un calcio o un volley campione del mondo, piuttosto che in Australia per assistere ad una debacle di 10 giocatori che perdono nei primi due turni.
Al venerdì della prima settimana qui non c’era più un italiano in gara. 23 Paesi invece erano ancora rappresentati.
Il tennis deve conquistarsi, con i gomiti, lo spazio fra le 40 discipline sportive cui il calcio lascia qualche soffio di respiro nelle mezze pagine riservate alle “varie”.
La felice eccezione l’abbiamo vissuta quest’anno quando Filippo Volandri ha battuto Gasquet, Federer e Berdych a Roma. I più felici per aver “sforato” nelle pagine più nobili dei giornali, nelle prime notizie dei tg, eravamo proprio noi vituperati giornalisti di tennis… che pure, a differenza dello stesso Volandri, del suo coach, del suo manager, dei suoi sponsor, non avevamo guadagnato mezzo euro dai suoi exploit. Solo attenzione, finalmente, solo considerazione..
Concetti, questi, espressi mille volte. Eppure non passa Slam senza che io oda le stesse recriminazioni, che io non riceva un messaggino telefonico da qualche coach che non si è dato neppure la briga di leggermi ma ha sentito dire che avrei scritto questo e quest’altro…Non so perché ma i “seminazizzania” non mancano mai. Fra i cortigiani dei giocatori ce ne sono sempre stati.
Eppure un coach che non cito per rispetto della sua privacy mi ha scritto qui in Australia: “Perchè ci hai attaccato così pesantemente?” e anche “Perché non ti informi meglio?” .
Chi scrive non può farlo in modo asettico come in un lancio di agenzia, se non si vuol far morire il lettore dagli sbadigli.
Una frase di Rino Tommasi tempo fa ha irritato tantissimi. L’ha pronunciata, nel contesto di uno di quei soliti paragoni fatti con altri Paesi più fortunati: “ “La Francia ha Gasquet e noi abbiamo Fognini!”. Non l’avesse mai detto!
Indignazione, accuse di crudeltà preconcetta, di anti-italianismo.
Capisco che sulle prime a casa Fognini possa non aver fatto piacere. Però i Fognini sono intelligenti. E per primi avranno capito che quella è la verità. Cruda ma la verità. Segnalarla è un dovere del cronista, non un vezzo.
Idem se la Francia che porta 29 giocatori all’Australian Open e noi 11, che sono tanti e anche questo va rilevato anche numeri di retroguardia non danno la soddisfazione di un top-ten. Ma le aspettative francesi su Gasquet, dacchè aveva 9 anni, e italiane su Fognini, dacchè era n.1 junior, erano purtroppo realmente diverse. E ciò senza nulla togliere a Fognini, bravissimo ragazzo, con un padre appassionatissimo e apprezzatissimo che ha investito tanto pur di aiutarlo al meglio.
Nessuno, nemmeno Tommasi, vuol mancare di rispetto a Fabio che, anche se è il n.94 e il suo coetaneo d’Oltralpe è invece n.8 , è pur sempre il migliore dei nostri giovani, quello che ha lavorato meglio e ottenuto i migliori risultati.
Mi rendo conto che a volte un’osservazione vera possa apparire malevola. Ma si deve avere la maturità per capire che quell’osservazione non sottintende necessariamente _ anzi! _ pregiudizi, malanimo, tantomeno malafede.
Smettete, per favore, di attribuire sempre cattive intenzioni a chi non vi copre di elogi. Noi abbiamo l’obbligo morale di informare l’opinione pubblica sui motivi (presunti, presumibili) per cui nel tennis non siamo vincenti come in altri sport.
Nessuno è perfetto, quindi certo non lo siamo nemmeno noi i giornalisti. Alcuni saranno più teneri, altri meno, alcuni scriveranno meglio (in tutti i sensi), altri peggio, ma ritenere insistentemente che alcuni lo facciano in malafede, o per partito preso, non solo è falso, non solo significa non conoscerli, ma significa contribuire a creare attorno a voi giocatori un sistema debole, nocivo per primo a voi stessi, meno sereno. Così vivete peggio la vostra vita agonistica, vi crea inconsciamente alibi controproducenti: “quello porta male, quell’altro spera che io perda”… “Ecco gli avvoltoi!”, alluse apertamente, e scioccamente, una volta Paolino Canè a Prato durante un match di Davis.
Alla fine questo atteggiamento vittimistico, alimentato talvolta anche dalla politica _ “Quello ce l’ha con la federazione, quindi anche con voi!” Ma chi l’ha detto? _ non favorisce nemmeno la vostra crescita mentale ed agonistica. E direi anche culturale. Una mentalità sbagliata si traduce, alla fine, in uomini e donne meno maturi, meno forti, meno in grado di reagire alle vere avversità della vita e dello sport. Quelle avversità, credetemi, non sono nascoste nella penna di un giornalista. Cercate di ricordarvelo.
Un abbraccio e forza che se vincete di più i primi ad essere contenti siamo noi
Ubaldo Scanagatta”

Se non conoscessi Ubaldo fin da quando era poco più di un ragazzino, e non sapessi bene quanta disinteressata passione per il tennis nutre, quella lettera mi sembrerebbe la classica “excusatio non petita, accusatio manifesta”. Anche perché in occasione delle mie frequentazioni con le migliori giocatrici e i migliori giocatori italiani non ho mai sentito nessuno lanciare le accuse indiscriminate di cui egli riferisce.
Ma se metterei la mano sul fuoco sul fatto che la coscienza di Ubaldo è immacolata, altrettanto non posso dire sul conto di quella di alcuni suoi colleghi. Dunque non me la sento di escludere che qualche giocatrice e qualche giocatore nutrano per loro una più che giustificata diffidenza. Il punto è che fra i giornalisti italiani che seguono il tennis ce ne sono alcuni che non si limitano – come Ubaldo, come Clerici e come la maggior parte degli altri – a fare i giornalisti e basta. C’è anche chi approfitta dello spazio che gli viene concesso dai rispettivi giornali per perseguire altri interessi e altri obiettivi.
Pensate a Tommasi, che si è addirittura candidato a diventare presidente della FIT!… Quanto può essere obiettivo uno che ha tutto l’interesse a dimostrare che le cose vanno male? E infatti eccolo cambiare di volta in volta il sistema con cui calcola l’entità del presunto “disastro italiano” per non dover ammettere, tramite il confronto fra cifre omogenee, che le cose stanno migliorando.
Pensate a Daniele Azzolini e a Stefano Semeraro, rispettivamente direttore e condirettore del giornale edito da Adriano Panatta, che lo fondò nel 2004 per tirare la volata elettorale delle sue marionette!… Vi sembra gente che può essere libera di dire cose diverse da quelle che convengono al loro padrone? E infatti sui quotidiani che danno loro ospitalità – probabilmente ignari di questo scandaloso conflitto di interessi – si sprecano i titoli che terroristicamente dipingono una realtà opposta a quella reale (“Il tennis affonda”, “Il tennis italiano a pezzi”, eccetera eccetera).
Pensate a un Lorenzo Cazzaniga il quale, oltre che pure lui condirettore dello stesso giornale di Panatta, è socio di aziende di comunicazione e di management sportivo che nutrono interessi commerciali in vari campi del tennis giocato. Interessi legittimi, intendiamoci, ma talvolta contrastanti con quelli dei giocatori o, magari, della stessa FIT.
Poiché quando scrivono sui quotidiani questi signori si guardano bene dall’informare con onestà e trasparenza i lettori degli interessi particolari di cui sono portatori, siamo di fronte a casi di clamorosa violazione della deontologia professionale che meriterebbero ben altri interventi che non queste poche righe o, come racconta Ubaldo, qualche sms di protesta… Per cui sono d’accordo col mio vecchio amico nell’auspicare un clima più disteso, ma non me la sento certo di condannare coloro che, giocatrici e giocatori in testa, ritengono che il disarmo non possa e non debba essere unilaterale.