COACH CHE VANNO E VENGONO: DIVORZIO MURRAY-GILBERT

Coach che vanno e coach che vengono. Secondo il quotidiano inglese “Times” è al capolinea il rapporto di collaborazione tra lo scozzese Andy Murray e l’americano Brad Gilbert, che in passato aveva allenato i connazionali Andre Agassi e Andy Roddick. A Gilbert si era rivolta nell’estate del 2006 la LTA, la federazione britannica, per seguire la crescita del miglior talento espresso dal tennis britannico negli ultimi anni. Compenso: 750mila sterline a stagione, mica noccioline. All’epoca Murray era un top 40, con Gilbert è entrato nei top ten anche se ora è numero undici dopo essere stato a lungo fermo per un infortunio al polso saltando sia il Roland Garros che il torneo di casa, ovvero Wimbledon. In che misura un coach incide sul rendimento di un giocatore? Gli esempi sono discordanti, almeno ad alto livello. Fernando Gonzalez è migliorato sensibilmente grazie al lavoro con un altro guru del tennis mondiale, Larry Stefanki, ex di McEnroe e Rios, tanto da raggiungere la finale degli Australian Open, entrare stabilmente nei top ten e battere un paio di giorni fa Federer al Masters di Shanghai dopo dieci ko di fila. Riccardo Piatti ha tirato fuori il meglio da Ivan Ljubicic, forte sì ma non un fenomeno, entrato nell’elite del tennis mondiale anche grazie alla competenza del tecnico comasco. E’ altrettanto vero che la presenza di un “mostro sacro” come Jimmy Connors al fianco di Roddick non è servita molto ad Andy, che non è più il “bombardiere” di qualche stagione addietro (magari mi smentisce al Masters…). Tanto per fare un altro esempio, Federer dopo il “divorzio” con il coach part-time Tony Roche fa da solo e nel 2007 ha vinto tre Slam su quattro raggiungendo la finale al Roland Garros. Si potrebbe obiettare: ma si tratta di Federer… C’è poi chi si è meritato la fama di “mangiallenatori”, proprio come molti presidenti di calcio. Guillermo Coria, finalista al Roland Garros 2004, ne ha cambiati tre solo nel 2006 (altri già quando era ancora in auge) e tutti molto quotati: Josè Perlas, Josè Higueras e Horacio De La Pena. Risultato: tanta confusione. Ora al suo fianco c’è Hernan Gumy, colui che ha portato un altro argentino, Guillermo Canas, tra i top ten e che da qualche mese collabora con Marat Safin, passato anche dalle mani dello svedese Peter Lundgren, ex di Federer. Un altro che non trova pace è Lleyton Hewitt. La lista dei suoi coach è lunga: Darren Cahill (non andava d’accordo con Cherylin, l’invadente madre dell’ex numero uno), Roger Rasheed, Scott Draper e ora Tony Roche, riciclatosi dopo l’addio a Federer. Ci sono anche i “fedeli” storici: Rafa Nadal è da sempre allenato dallo zio Toni, un secondo papà più che un coach e con questo nessuno discute la sua bravura come tecnico. Nikolay Davydenko si fida solo del fratello Eduard. Una scelta, quella di restare nell’ambito familiare, gettonatissima nel circuito femminile. Eccezion fatta per Justine Henin, seguita da quando era una ragazzina da Carlos Rodriguez, sono tanti gli esempi di giocatrici di alto livello che invece del coach scelgono mamma o papà. Maria Sharapova, ad esempio, si affida a papà Yuri l’antipatico, Elena Dementieva all’onnipresente madre Vera, le sorelle Venus e Serena Williams a papà Richard l’esagerato, Nicole Vaidisova al “patrigno” Ales Kodat. E in passato Martina Hingis era seguita come un’ombra dalla mamma Melanie Molitor. Almeno in questo modo i guadagni restano in famiglia.