Serena Williams, un anno dopo

Serena Williams ha rilasciato qualche settimana fa una lunga, e insolitamente accorata, intervista a Vogue. La campionessa di 23 Slam è ferma da ormai più di un anno, quando già incinta della piccola Olympia ha trionfato sui campi di Melbourne Park portandosi a una sola lunghezza dai 24 Major di Margaret Court. A dieci giorni dall’edizione 2018 dello Slam australiano, Serena ha annunciato di non essere ancora pronta a fare (il tanto atteso) ritorno in campo. Non ha però resistito al richiamo delle competizioni e si è messa a disposizione per il primo turno di Fed Cup contro l’Olanda, per il quale è stata convocata da Kathy Rinaldi: ad Asheville, Carolina del Nord, farà il suo rientro ufficiale. Nel circuito WTA la rivedremo invece in campo a Indian Wells, dove ha accettato una wild card.

Nell’intervista – che trovate QUI in versione integrale – Serena racconta delle complicanze occorse subito dopo il parto, del difficile ritorno a casa, dell’impatto che la nascita della primogenita ha avuto sulla sua vita e di come questo potrà tradursi nell’ennesima spinta positiva per raggiungere altri traguardi. Di cui Serena dice di non aver bisogno, ma che ha comunque intenzione di inseguire.

Serena Williams con la piccola Alexis Olympia sulla copertina di Vogue (febbraio 2018)


I MARSHMALLOW E L’OBBEDIENZA

Avrei voluto mangiare quel marshmallow“. Serena pronuncia una frase che sembra completamente avulsa dal contesto tennis, e lo fa sorseggiando una brodaglia a base di curcuma e zenzero che dovrebbe aiutarla nella produzione di latte materno. Quella frase in realtà c’entra col tennis più di una lezione sullo split step, ed è al contempo in totale contrasto con l’ordine impartito al cuoco di prepararle la brodaglia dall’aspetto radioattivo. Così come quella pila di consigli per neomamme educatamente stampati e ordinati relega ‘l’analogica’ Serena, amante della parola scritta, agli antipodi rispetto al marito Alexis, che da fondatore di una piattaforma che raccoglie social news (Reddit) non può dirsi altro che profondamente digitale. Quella frase, peraltro, contrasta con ogni singolo 15 giocato da Serena. Il contesto che spiega questo contrasto è un esperimento svolto dallo psicologo Walter Mische circa 50 anni fa, in cui dei bambini venivano invitati a scegliere tra una ricompensa immediata (un marshmallow, per l’appunto) e la promessa di un premio più grande, se avessero saputo resistere alla tentazione glucidica. Adesso è chiaro perché quella frase non è ‘Serena’, perché Serena ha sacrificato tutto per diventare la più grande. Il pensiero di ogni singolo e invitante marshmallow è stato accantonato in funzione di un obiettivo più importante. E infatti Alexis – “Stai scherzando? Quel marshmallow deve essere il tuo nemico” – la bacchetta, calato ormai nel ruolo di primo tifoso e primo motivatore. Ne riceve una pronta ammissione di colpa da sua moglie: “Hai ragione. Non l’avrei fatto, sarebbe stata la paura a fermarmi“. La paura, da cui è derivata la cieca obbedienza che Serena ha sempre considerato un dovere nei confronti di mamma Oracene. “L’obbedienza porta protezione. Me lo ha scritto una volta mia mamma, viene dalla Bibbia. Sono sempre stata obbediente, qualunque cosa i miei genitori mi abbiano detto di fare io l’ho fatta. Forse avere un figlio da tennista professionista è la cosa più ribelle che abbia mai fatto”.

Chissà se Serena sentirà l’obbligo di ascoltare anche l’ultimo dei consigli di sua mamma, che ha trascorso del tempo in Florida con lei per aiutarla nelle prime difficili settimane con la piccola Alexis Olympia. “Serena lavora troppo duramente, è sempre stato così sin da bambina. Ha bisogno di imparare a rallentare ora che è responsabile di un’altra vita“. Ma quanto possono essere compatibili le parole ‘rallentare’ e ‘Serena Williams’?

UN PARTO DIFFICILE E LE SEI SETTIMANE A LETTO

A una gravidanza invidiabilmente tranquilla è seguito un parto dei più travagliati. Olympia è venuta alla luce con un cesareo d’urgenza, poiché la frequenza cardiaca della piccola si era preoccupantemente abbassata durante le ultime contrazioni. Nelle ore successive alla nascita però le condizioni di Serena sono peggiorate. La sensazione di fiato corto e la necessità di interrompere il suo trattamento anticoagulante quotidiano – Serena ha avuto un episodio di embolia polmonare nel 2011 – hanno riportato alla luce antiche paure. Paure fondate, perché una TAC toracica – eseguita, pare, proprio su indicazione della stessa Serena – ha confermato la presenza di piccoli coaguli nei polmoni. I colpi di tosse dovuti ai coaguli hanno poi causato una riapertura della ferita del cesareo, problema durante la cui risoluzione chirurgica è emersa l’evidenza di un ematoma addominale. Uno degli equilibri più difficili da raggiungere in medicina è proprio quello tra i rischi di emorragia e quelli di un evento tromboembolico. Al termine dell’ultimo intervento durante il quale a Serena sono stati inseriti dei filtri nelle vene maggiori per evitare ulteriori episodi trombotici, e di alcune giornate piuttosto convulse, Serena è tornata finalmente a casa dove è stata però costretta a trascorrere le prime sei settimane di maternità a letto.

Non sono state soltanto le condizioni di salute a rendere complicati i primi due mesi dopo la nascita di Olympia, venuta alla luce l’1 settembre. La più classica delle depressioni post-partum, che non fa selezione in base agli Slam vinti o al conto in banca, sembra aver investito la campionessa nata a Saginaw, in Michigan, nel nord che guarda da vicino il confine canadese. “A volte mi sentivo davvero giù e pensavo ‘questo non posso farlo’. È lo stesso sentimento che ho provato ogni tanto sul campo. Non so quante volte, sentendo la bambina piangere, sono scoppiata in lacrime anche io. Poi mi arrabbiavo per aver pianto, quindi ero triste per essermi arrabbiata, poi mi sentivo colpevole. Perché dovrei sentirmi così triste quando ho una bambina stupenda? Le emozioni erano incontrollabili”.

‘VOGLIO I TITOLI, MA NON MI SERVONO’

Da questo insanabile conflitto tra l’essere Serena Williams, l’indiscusso punto di riferimento del tennis femminile degli ultimi (difficile dare un numero, ma la tentazione di contare tutti gli anni in cui si è giocato a tennis è forte) anni, e l’essere diventata mamma, con le debolezze che comporta un ruolo così meravigliosamente unico, sgattaiola qualche pensiero che somiglia tanto a una resa, alla scelta di mangiare quel maledetto marshmallow. “Ad essere sinceri c’è qualcosa di attraente nell’idea di trasferirmi a San Francisco per fare soltanto la mamma“. Poi, qualche minuto per richiamare alla mente quella scarica di adrenalina che solo un match point annullato (o convertito) sa donare, e l’immediato ravvedimento. “Ma non ancora. Forse è ovvio, ma preferisco ribadirlo chiaramente: voglio vincere altri Slam. Non è un segreto, il mio obiettivo è arrivare a quota 25” – a 24 c’è Margaret Court, a 25 non ci sarebbe che lei, a quel punto indiscussa tennista più vincente di sempre – “e in realtà credo che avere una figlia possa aiutarmi. Quando sono troppo ansiosa mi è capitato di perdere una partita, e sento che tutta quell’ansia è scomparsa quando Olympia è nata. Sapere che ho sempre questa splendida bambina che mi aspetta a casa non mi obbliga a giocare un’altra partita. Non ho bisogno del denaro, dei titoli o del prestigio. Li voglio, ma non ne ho bisogno. È una sensazione diversa per me“.

La strada che porterà Serena a giocare il prossimo incontro ufficiale, probabilmente a Indian Wells, è cominciata con la prima passeggiata attorno all’isolato di casa. Dopo una settimana ha ripreso la racchetta in mano in un campo da tennis in terra battuta che, curiosamente, non appartiene a lei ma a un facoltoso vicino di casa (che ovviamente non le nega mai di utilizzarlo). Alla presenza dell’esigente papà Richard – “devi ricominciare il prima possibile“, l’intransigente consiglio paterno – e del drone comprato da Alexis, che con l’aiuto dell’indiscreto ospite svolazzante ha intenzione di filmare ogni minuto del suo comeback, Serena ancora non ha iniziato a servire, non prepara i colpi in modo completo, ma già la traiettorie sibilano verso gli angoli del campo (non senza estorcerle un sorriso). Da questa cautela con cui la campionessa ha ricominciato ad allenarsi è scaturita la scelta di non competere a Melbourne, perché l’idea decoubertiana del semplice partecipare non appartiene all’universo Williams. Si indossa l’outfit per il quale un certo marchio col baffo sgancia milioni – le indiscrezioni dicono tra 8 e 9 – e si va in campo per vincere, mica per altro. Con la memoria ben salda sui momenti più difficili, come quel 2014 in cui il diciottesimo sigillo Slam sembrava essere diventato una maledizione prima che coach Mouratoglou, uno di quelli che ha potuto svolgere il suo egregio lavoro anche grazie all’obbedienza della sua allieva, in un allenamento a Flushing Meadows le dicesse semplicemente ‘Serena, tutto questo non ha senso. Il 18 ti sta mettendo pressione. Ma perché non 30, 0 40?‘. Il risultato fu un US Open dominato, senza set ceduti e con Wozniacki dominata agilmente in finale.

DA SERENA A OLYMPIA, PASSANDO PER VENUS: LA ‘DINASTIA’ WILLIAMS

Il prezioso legame tra Serena e la piccola Olympia emerge sin dal nome scelto per la primogenita, di derivazione ellenica e di chiara estrazione sportiva per via del Monte Olimpo, sacro rilievo sulle cui pendici si disputarono le prime Olimpiadi. Una spinta immaginifica ulteriore per coloro che già proiettano la dicitura “A. O. Ohanian” nel tabellone di Wimbledon 2040 (prevedibili i sottotitoli a rettificare: ‘Ohanian sì, ma in realtà, di sangue Williams‘), nel quale anagraficamente parlando sarebbe perfettamente possibile vedere anche i nomi delle gemelle M. Federer e C. Federer, che nel 2018 compiranno 9 anni. Giochi di fantasia a parte, la dinastia Williams è già oggi senza l’ausilio della nuova infante la più vincente della storia del tennis.

Venus però, più elegante nelle movenze, ha sempre pagato rispetto a Serena una salute più cagionevole e un’esplosività meno dirompente. Una rivalità che nei fatti non è mai esistita, poiché la storia dei ‘sorellicidi’ Williams è costellata di partite piuttosto avare di emozioni. Serena, però, ‘sente’ questo gradino di differenza e non lo vive con disinvoltura. So che la sua carriera sarebbe potuta essere diversa se avesse avuto la mia salute. So quanto lavori duramente. Odio giocare contro di lei perché vedo il suo sguardo da cui traspare la delusione. Mi spezza il cuore. Così adesso quando la affronto non la guardo mai negli occhi, perché se dovessi incrociare ancora quello sguardo ricomincerei a star male e il passo successivo sarebbe la sconfitta. Penso che il punto di svolta della nostra rivalità sia arrivato quando ho smesso di guardarla“.

Serena e Venus Williams - US Open 2015 (foto di Art Seitz)

Serena e Venus Williams – US Open 2015 (foto di Art Seitz)

Se Serena e Venus sono ancora il presente di una dinastia che dopo 20 anni di vittorie non ha smesso di essere lo snodo dell’intero circuito WTA, Olympia ne sarà il futuro. Non necessariamente nel tennis, ma in quanto donna. “Penso che a volte le donne si limitino“, incalza Serena. “Non so perché cominciamo a ragionare in quel modo, ma so che a volte ci viene insegnato a non sognare in grande come gli uomini, a non credere che possiamo diventare amministratore delegato, o presidente (Billie Jean King ha già endorsato Serena in vista di una eventuale corsa alla Casa Bianca, ndr), quando nella stessa famiglia a un bambino viene trasmesso il messaggio che può diventare quello che vuole. Per questo sono felice di aver partorito una bambina: voglio insegnarle che non ci sono limiti. Io ho iniziato a giocare a tennis prima che cominciassero i miei ricordi. Oggi, alla mia età, vedo il traguardo. E quando vedi il traguardo non rallenti. Acceleri“.