L’ULTIMO TANGO A PARIGI

A trent’anni di distanza dall’ultima occhiata dal vero, il visitatore ritrova il Roland Garros insieme scombussolato e identico a se stesso. Il Centrale, ora Philippe Chatrier, è diventato un palazzone ricco di piani, meandri e anfratti ma sempre lì dove troneggiava prima se ne sta. Ci sono alcuni megacampi aggiuntivi e la Piazza dei Moschettieri che allora non c’erano, un sacco di boites e boutiques, un Museo piccolo ma pieno di roba grazie alle tecnologie digitali, un negozio che vende il merchandising del torneo per entrare nel quale bisogna mettersi in fila come giapponesi a Via Condotti, ristoranti, uffici e un tv compound che sembra il paddock di un circuito automobilistico durante un gran premio di F1 degli anni ’80. Un casino pazzesco e nuovo di zecca che ribolle all’interno di mura vecchie ed anguste. E’ come se un gigantesco bambino-demiurgo avesse prepotentemente e crudelmente compresso i pezzi di tre confezioni di mattoncini Lego dentro una sola scatola.
Se non sei un privilegiato o un riccone non riesci praticamente a far altro che muoverti con fatica in mezzo alla gente, meglio se in favore di corrente. Tennis giocato? Se hai fortuna puoi trovare un posticino per ammirare un doppio fra rampanti bambine provenienti dall’ex impero sovietico. E non parliamo di quel che ti costano un panino o un gelato.
Il tennis cresce in tutto il mondo, ma qui la crescita si avverte con più forza e meno soddisfazione, perché il “no” delle autorità parigine a concedere i nuovi spazi disperatamente richiesti dagli organizzatori della Federazione francese ha fatto del Roland Garros una pentola a pressione: alla fine il piatto messo in tavola è ottimo ma il processo di cottura è forzoso e per certi versi anche pericoloso. Qui si sperava nel successo della candidatura a ottenere i Giochi Olimpici del 2012, vinta invece da Londra: se ce l’avesse fatta, la municipalité di Parigi avrebbe concesso al tennis lo spazio vitale di cui ha disperatamente bisogno. Invece… Invece i confini sono rimasti quelli di sempre e l’ottuagenario impianto del Bois de Boulogne è una bolgia dove è difficile persino spostarsi. A parità di spettatori, Wimbledon e Flushing Meadows sono molto più fruibili.
Per noi italiani il pellegrinaggio è comunque istruttivo. Anzi: facendo di necessità virtù, gli amici francesi hanno sviluppato idee e soluzioni che possono essere di utile ispirazione a noi che ci occupiamo del Foro Italico, specie in vista dell’ormai imminente cambiamento di formula, con gli Internazionali d’Italia destinati a diventare un “combined event” nel giro di pochi anni, con tutto ciò che ne conseguirà, a cominciare dalla compressione del torneo dai sedici giorni attuali a una decina.
Dunque un ritorno felice, perdipù condito da tre set di tennis nazional-adrenalinico come quelli giocati dalla Pennetta contro Venus Williams e il primo della Knapp contro la Sharapova. Come dite? Che mi accontento di poco? Magari avete ragione. Ma se mi guardo alle spalle non è che, in questi trent’anni di digiuno, veda di meglio. Anzi…