LA PIZZA E LA SHARAPOVA

Il giornalista russo si crede molto spiritoso, quando chiede a Barazzutti che tipo di piatto starebbe preparando la squadra italiana se il tennis fosse cucina. Siamo alle solite: per certa gente l’Italia resta sinonimo di pastasciutta, e al massimo gli fa venire in mente pure il calcio, la moda e, talvolta, la Ferrari. Corrado perde la battuta, anche perché la domanda non è chiarissima, poi dice qualche frase di maniera. Io avrei risposto “Pizza!”, e poi mi sarei premurato di spiegare che a Roma “pizza” è sinonimo di “sganassone”, “schiaffone”. Perché proprio questa è la voglia che si legge in fondo agli occhi delle azzurre: ribaltare il pronostico a suon di pizze.
Mosca è un posto inimmaginabile per chi, come me, non ci veniva dal 1980, da quando cioè l’allora capitale dell’impero sovietico ospitò le Olimpiadi. Da Breznev a Putin molta acqua (per certi versi troppa) è passata sotto i ponti sulla Moscova. Ma l’impianto dove da sabato l’Italia difenderà il suo titolo mondiale è ancora come allora, pomposo e un po’ malmesso, spirante stalinismo da mattonella. Il campo è steso sopra il vecchio parquet da basket e la palla non cammina neppure a spararla col cannone. Non è detto che sia un male. Francesca è molto carica, gioca bene in allenamento, così come bene gioca Mara. La squadra è tranquilla, il capitano – reduce da tanti sfide strappacuore, in Davis e in Fed – è insolitamente tranquillo anche lui.
Non credo che le russe se la porteranno da casa. Anche perché il clima interno alla loro squadra è tutt’altro che sereno. Oltre all’ovvia tensione di avere tutto da perdere e poco da guadagnare, le numero 2 (Kuznetsova), numero 5 (Chakvetadze) e numero 8 (Petrova) del mondo devono subire l’offensiva mediatica della diabolica Sharapova, che sebbene non convocata viene qui ad allenarsi con la compagna di scuderia Vesnina (in squadra perché specialista del doppio) col chiaro obiettivo di rompere le scatole alle tre “nemiche” titolari, e dopo aver calamitato tutti i fotografi si spinge fino a rubar loro la scena durante la conferenza stampa ufficiale!
Mentre scrivo deve ancora arrivare la maggior parte dei giornalisti italiani. Sono già qui soltanto Marisa Poli, della Gazzetta dello Sport, e Raimondo Angioni, della Nuova Sardegna. Ne attendiamo altri 19. Se penso che fino a poco più di anno fa per far uscire sui giornali qualche riga sugli incontri della nazionale di Fed Cup Beatrice Manzari doveva metaforicamente inginocchiarsi per telefono… beh, mi dico che qualunque sia il risultato di questa finale le nostre ragazze un miracolo l’hanno già fatto. “Yu’ve come a long way, babe!”, come negli anni ’70 recitava la pubblicità delle sigarette Virginia Slims, primo sponsor dell’appena nata WTA…