RITORNI AZZURRI

E’ stata una bella giornata per il tennis italiano. Una giornata riempita da tre storie diverse, che a prima vista non hanno nulla in comune. Due dei protagonisti sono toscani, il primo avviato alla trentina, l’altro appena maggiorenne. La terza è una italo svizzera dal talento pari solo alla fragilità fisica. Tre nostri giocatori che sembravano perduti, o sulla via di perdersi, tutti insieme, curiosamente nello stesso martedì di settembre, sono tornati agli onori delle cronache.
Ci affacciamo nel circuito minore, quello dei tornei challenger, che nel nostro paese conta un buon numero di tappe. A Todi, nel primo turno di un evento da 42.500 euro, si è rivisto in campo l’aretino Federico Luzzi, che ha finalmente scontato i sette mesi di squalifica comminatigli dall‘Atp per l‘assurda (e discutibile) vicenda scommesse. Quel Federico Luzzi sul quale, all’indomani del provvedimento disciplinare, erano suonate le campane a morto. “Carattere debole, professionista incostante, si lascerà andare, non riuscirà mai a tornare su”. Ieri invece Federico ha dimostrato di esserci ancora: ha superato con un netto 63 62 lo spagnolo Adrian Menendez, testa di serie n. 8 del torneo e n. 220 del mondo. Luzzi, classe 1980, grinta luciferina in campo, simpatia trascinante fuori, è un giocatore divertente da vedere, dotato di un buonissimo tocco, con gesti classici (anche troppo), dal tennis non potentissimo ma dal repertorio molto vario. Nel 2001, sotto la guida tecnica di Corrado Barazzutti, si era affacciato nei primi 100 del mondo, con un terzo turno al Foro Italico. Sembrava che potesse diventare il nome nuovo del nostro movimento, ma poi si perse, fra errori di gioventù e gravi infortuni. Scivolato ai margini del tennis che conta (nel novembre del 2003 era fuori dai primi 450), non è più riuscito a rientrare nel grande giro, ma ha comunque avuto una carriera dignitosa, anche se non pari al suo potenziale, riuscendo a stazionare a lungo intorno alla 130a posizione del ranking. Poi, alla fine dello scorso anno, le voci di un suo coinvolgimento nell’affare scommesse. Puntate irrisorie, con la propria carta di credito. Ma l’Atp, che sembrava dovesse finire travolta dallo scandalo-Davidenko, aveva bisogno di recuperare credibilità, ha usato la mano pesante. E così, Federico è tornato dov’era 5 anni fa, fuori dai 400. Ma se ce l’ha fatta una volta, a risalire, ce la può fare ancora.
Cambiamo scenario, siamo a Mestre, un ITF da 50.000 dollari, dove va in scena il secondo ritorno, ancora più inaspettato: è quello di Romina Oprandi, che ha battuto la padrona di casa, la veneta Maria Elena Camerin, con un secco 62 64. Romina… Ci aveva lasciati tutti a bocca aperta, due anni fa, al Foro Italico. Una biondina rotondetta, non troppo mobile, che sul campo sembrava fosse tenuta insieme da un mucchio di cerotti e fasce elastiche. Ma dal braccio sciolto e dal tocco sopraffino. Pur essendo dotata di due ottimi fondamentali (in particolare il diritto, pesante e carico di top spin), quella ragazzina era diversa dalle altre. Non giocava il power tennis che domina incontrastato il circuito femminile. No, Romina era diversa. Un tocco morbido, una palla alta e lunga, un tagliente back stretto, una accelerazione improvvisa. E soprattutto, l’apoteosi della palla corta, che lei gioca in qualsiasi situazione, con entrambi i colpi, e con precisione mortifera. Per il pubblico del Foro fu amore a prima vista, e la sua corsa si fermò a due dita dalla semifinale. Era partita dalle qualificazioni, ma si era arrampicata fino al match point, nell’incontro di quarti con Svetlana Kuznetsova: di due dita, infatti, uscì la sua risposta di diritto.
Romina di Berna, papà italiano, madre svizzera, il tedesco come lingua madre, doppio passaporto. Romina che un lungimirante dirigente Federale aveva guadagnato alla causa del nostro tennis, telefonandole in continuazione, standole vicina quando, qualche anno prima, si era massacrata un ginocchio giocando a calcio. Romina, dall’alimentazione sregolata e dal tennis disordinato ma affascinante, finisce il 2006 fra le prime 50 del mondo, e viene convocata in Fed Cup. Si mette a dieta, promette a se stessa che sarebbe diventata anche un’atleta. Ma qualche mese dopo, al torneo di Budapest, un terribile infortunio al braccio destro (una lacerazione dei tessuti con un copioso versamento di sangue all’interno dell’arto) che la costringe a smettere, dopo alcuni vani tentativi di difendere la sua classifica, giocando con il dolore. Annuncia il ritiro, definitivo. Se ne perdono le tracce. Viene avvistata a Sharm el Sheik, dove è andata a lavorare come animatrice turistica. Sembra finita. Poi, qualche settimana fa, in silenzio, tra la sorpresa generale, si riaffaccia timidamente sul circuito, e vince subito un piccolo torneo, un 10.000 dollari, partendo dalle qualificazioni. La vittoria di oggi, però, contro una giocatrice grintosa come la veneta, che vale ampiamente le prime 100 del mondo, vale molto di più. E’ bello pensare che potremo continuare ad ammirare il suo tocco fatato.
La terza storia, più che di un ritorno, dovrebbe trattare di un inizio. Perché Matteo Trevisan, classe 1989, ha tutta la vita e la carriera davanti. Ma il fatto è che anche di lui, robusto ragazzotto di Pisa, ex n. 1 del mondo juniores, sembravano essersi perse le tracce. Aveva impressionato tutti lo scorso anno, il ragazzo, due semifinali negli Slam juniores, la vittoria al Bonfiglio (un torneo dall’albo d’oro che mente raramente), un gioco potente, un servizio pungente, un diritto devastante. La Federazione ci punta a occhi chiusi: si è ingaggiato un coach d’eccezione, l’argentino Infantino, per seguirlo nei suoi primi passi nel circuito. Ma il diavolo ci mette la coda. Una serie infinita di infortuni, a partire dallo scorso settembre: prima gli addominali, poi la schiena, poi il gomito, poi la famigerata mononucleosi. Matteo sa che è un anno importante per lui, è il primo da professionista. Ma riesce a giocare poco, e quando gioca, pur lottando, perde subito, incappa in una serie infinita di sconfitte in tre set, dopo battaglie lunghissime. Ci si mettono anche gli esami di maturità, ed è altro tempo perso. I risultati non arrivano, Matteo non riesce neppure a difendere i pochi punti conquistati l’anno passato, quando giocava prevalentemente i tornei juniores. Nell’ambiente, si comincia a parlare di promessa sfiorita, di giocatore sopravvalutato. A 18 anni, poi, l’autostima, la conoscenza di sè, non è ancora ben salda, ed è facile deprimersi, perdere quella fiducia nei propri mezzi che è così necessaria nel nostro sport. Ma Matteo insiste, cocciuto. Finché ieri, nella prodiga Todi, l’azzurro rompe l’incantesimo, infrange il sortilegio. Arriva la prima vittoria a livello challenger per questo ragazzo, con una convincente (62 61) affermazione contro il francese Sidorenko, anche lui un emergente, un ragazzo del 1988 poco oltre la 200a posizione del ranking. Eppure, la settimana precedente Sidorenko, a Orleans, aveva battuto un top 100 (Stakhosky) e perso solo 63 al terzo set da Marcos Baghdatis…
Insomma, Matteo c’è. Non è un bluff. Deve lavorare, non deve avere fretta, ma c’è. Quello che abbiamo visto al Foro Italico qualche mese fa, al primo turno delle qualificazioni, quando a forza di traccianti di diritto è arrivato a due punti dal match contro uno come Jonas Bjorkman, non lo abbiamo sognato.
Bentornati, ragazzi, fateci divertire.