UN DOPPIO BRACCIALI-LUZZI?

Nelle ultime settimane, mentre tutta l’attenzione degli appassionati italiani si focalizzava sull’affare Bolelli, e sulla Coppa Davis, nel mondo del tennis minore, il circuito challenger, si sono rivisti due nostri atleti, quasi coetanei, che hanno avuto una storia ed una carriera per certi versi molto simile. Mi riferisco ai due aretini terribili del nostro tennis, Federico Luzzi, classe 1980, e Daniele Bracciali, classe 1978, che stanno faticosamente riemergendo dalla squalifica per la vicenda scommesse (ben 7 mesi il primo, tre il secondo). Bracciali, inoltre, sta anche affrontando un difficile recupero fisico, dopo una delicata operazione alla spalla destra.
Questa settimana erano entrambi nel main draw del challenger di Napoli, ma hanno fatto poca strada. Bracciali ha dato qualche segnale di risveglio, impegnando lo spagnolo Munoz de la Nava fino al tie break del terzo set, mentre Luzzi ha dimostrato di non avere ancora sufficiente fondo atletico, cedendo alla distanza a Pietro Fanucci (proprio il figlio del suo vecchio coach) dopo aver dominato la prima frazione.

Insomma, i due stanno tentando un difficile ritorno nel tennis che conta. Sia Federico che Daniele, talenti precoci e annunciati,sono state due promesse mai mantenute fino in fondo. Hanno commesso tanti errori in gioventù, hanno subito tanti infortuni, hanno entrambi la spalla malandata, continuano a pagare un carattere particolare e una motivazione al lavoro atletico altalenante. Secondo molti osservatori, sarà difficile che riescano davvero a ritagliarsi nuovamente un ruolo ad alto livello, in singolare. Bene che vada, potrebbero ritornare a giocare con continuità a livello challenger, frequentando prevalentemente il circuito italiano su terra rossa (una superficie che tra l’altro non ne esalta le caratteristiche tecniche e anzi ne evidenzia i limiti fisici e di tenuta). Un finale di carriera dignitoso, ma non esaltante.

E qui si pone la domanda: non converrebbe, a questi due giocatori, abbandonare la carriera di singolaristi, per dedicarsi esclusivamente al doppio, facendo coppia?

Molti esperti considerano ormai i tornei di doppio un retaggio del passato. L’Atp, tuttavia, non è d’accordo, e sta cercando disperatamente di dare maggiore appeal alla specialità: sono state apportate modifiche regolamentari e sono stati incrementati i prizemoney. Inoltre, il punto del doppio molto spesso finisce per decidere i match di Davis (basta pensare a dove è arrivato Israele e dove sarebbe senza i suoi fidi doppisti Erlich e Ram). Quella Davis che, nonostante la formula obsoleta, si dimostra una competizione sempre più vitale e in grado di fare grande presa sul pubblico degli appassionati. Spettacoli di folla come quelli visti nella coreografica cornice della Plaza de Toros di Madrid, nell’ultimo week-end, o ancora durante la finale dello scorso anno tra Stati Uniti e Russia a Portland, ne danno eloquente conferma.

Insomma, il doppio è ancora vivo: ad alti livelli, conferisce fama e soldi ai suoi protagonisti. Ma cosa potrebbero fare, Luzzi e Bracciali, se si specializzassero nel doppio? Con ogni probabilità, parecchio. I due aretini sono entrambi in possesso di una buonissima attitudine alla specialità.

Dedicarsi al doppio significherebbe diversi vantaggi sia sul piano economico che su quello del prestigio e dell’immagine: anzitutto, consentirebbe loro di allungare di qualche anno la carriera, data la diversa usura fisica che esso comporta (particolare non trascurabile, si effettuano la metà dei servizi rispetto a un match di singolare); permetterebbe molto probabilmente ai due toscani di entrare nel grande giro dei tornei Atp e Masters Series, sia pure nel tabellone meno prestigioso; porterebbe loro, se arrivassero ad alto livello, guadagni maggiori di quelli che si possono ottenere giocando il singolo a livello challenger; e infine, garantirebbe ai due un posto assicurato nella squadra di Davis, dando nello stesso tempo all’Italia quella coppia collaudata e affidabile che manca da tanto tempo.

Ovviamente, l’incognita è: riusciranno i nostri eroi ad arrivare nei primi 15-20 posti delle graduatorie di specialità?

Dal punto di vista strettamente tecnico, le premesse ci sarebbero. Sia Luzzi che Bracciali dispongono di un bagaglio tecnico molto buono, sicuramente non inferiore a quello dei molti doppisti “specializzati” che dominano i tabelloni Atp: basta
vedere dove sono arrivati gli israeliani Erlich e Ram citati prima, o il canadese Nestor, o l’austriaco Knowle, o il ceko Damm, o tanti altri, tutt’altro che fenomeni. Entrambi gli azzurri hanno un ottimo gioco al volo, servono in modo efficace (anche se Luzzi ha dovuto cambiare il gesto per non sollecitare troppo la spalla) sono in grado di rispondere vicino al campo, tenendo la palla bassa, e nelle schermaglie di tocco sotto rete avrebbero pochi rivali nel circuito.
Se affrontassero la loro nuova carriera svolgendo una adeguata preparazione tattica, lavorando sugli schemi di gioco e sull’affiatamento (tra l’altro si conoscono benissimo, da tanti anni, fin dai tempi delle competizioni giovanili) potrebbero scalare le graduatorie piuttosto rapidamente.

Ovviamente, dovrebbero investire un po’ di tempo per costruirsi una classifica (attualmente Luzzi è n. 835 del ranking Atp di doppio, mentre Bracciali è oltre la millesima posizione) ma questo non sarebbe un grande problema: gli organizzatori dei tanti challenger italiani sarebbero ben felici di offrire loro una wild card, specie se il loro progetto e le loro ambizioni fossero adeguatamente pubblicizzati: “Fede e Braccio, la sfida italiana alla Doubles Race” o qualcosa del genere. Uno sponsor comune, due completini uguali, e il gioco è fatto. Lo spettacolo sarebbe garantito, e in capo a pochi mesi i due potrebbero giocare le qualificazioni di doppio a livello Atp.

Facciamo ora un piccolo conto della serva. Per un quarto di finale in singolare in un challenger da 42.500 euro, come quello che si gioca a Napoli questa settimana, un giocatore percepisce 1.245 euro. E non è affatto semplice arrivarci, nei quarti di un challenger, come sa benissimo chi conosce quel circuito, in cui il livello è sempre più alto, con tanti giovani ambiziosi che sgomitano. Invece, fare una semifinale in doppio in un torneo Atp della fascia più bassa (impresa sicuramente alla portata dei nostrii) come ad esempio il torneo di Bangkok attualmente in corso di svolgimento, porta a ciascuno dei due giocatori 5.000 dollari. Quindi, anche senza cogliere risultati eccezionali, i due azzurri in doppio guadagnerebbero un pochino di più (anche considerando le maggiori spese connesse con il seguire il tour Atp) che giocando in singolare.

Se però i nostri riuscissero a salire ancora in graduatoria, e ad entrare nel giro dei Masters Series, (impresa tecnicamente alla loro portata, a parere di chi scrive), ecco che la musica cambierebbe radicalmente: per una semifinale al Foro Italico, quest’anno, un doppista si portava a casa la bellezza di 14.500 euro. Un bottino che in singolo, nei challenger, spetta solo ai vincitori, e solo nei tornei più importanti, quelli da 100.000 dollari e oltre, dove i peraltro tabelloni sono pieni di top 100, e la vita è durissima.

Insomma, non c’è dubbio che al doppio i due azzurri potrebbero farci un pensierino. E infine, Daniele Bracciali, da poco entrato a far parte del Consiglio Federale come rappresentante degli atleti, dovrebbe avere particolarmente a cuore, per la carica che ricopre, le sorti della nostra squadra di Davis, che beneficierebbe grandemente di una coppia di doppio collaudata.

Forse Corrado Barazzutti potrebbe provare a fare quattro chiacchiere con i due toscani, uno di questi giorni.