L’appassionato di tennis e il sogno che si avvera

Ogni tanto nel tennis vediamo alcuni giocatori che dopo tanti anni di lacrime e sangue tra ITF e Challenger riescono a raggiungere quell’equilibrio che consente di raccogliere i frutti di tanto lavoro e vedersi catapultati alle luci della ribalta del circuito maggiore. Ma non capita solamente ai giocatori: qualche volta capita anche a semplici appassionati come Matt Roberts, londinese di 24 anni, che per una serie di giochi del destino è riuscito a diventare una delle voci di The Tennis Podcast, uno dei più quotati podcast in ambito tennistico a livello mondiale.

The Tennis Podcast è nato quasi nove anni fa da un’idea di David Law, ex Communication Manager dell’ATP che ora fa il giornalista freelance, e Catherine Whitaker, il principale volto tennistico di Amazon Prime Video nel Regno unito. Il podcast è cresciuto di anno in anno e nel 2017 ha iniziato a raccogliere fondi attraverso campagne Kickstarter ogni anno sempre più trionfali.

La campagna Kickstarter per la stagione 2021, lanciata all’inizio del dicembre scorso, ha raggiunto il suo target di 80.000 sterline britanniche (circa 88.500 euro) in soli due giorni e a dieci giorni dalla scadenza si trova a oltre 107.000 sterline (118.000 euro) raccolte. David, Catherine e Matt producono ogni settimana e sono seguiti da circa 25.000 spettatori ad ogni episodio, con la frequenza che diventa giornaliera nel corso dei tornei più importanti.

Durante questa
off-season abbiamo parlato con Matt Robert per capire meglio come è riuscito a
trasformare la sua passione in un lavoro.

Matt, quando hai iniziato a seguire il tennis e come sei entrato a far parte del team a The Tennis Podcast?

Ho iniziato a seguire il lo sport quando avevo 7-8 anni. A quell’epoca abitavo a pochi passi dal Surbiton Tennis Club, lo stesso che ogni anno ospita il torneo Challenger, ma durante quel periodo non avevo mostrato alcun interesse verso il tennis. È cominciato tutto appena abbiamo traslocato. A 10 anni mia nonna mi accompagno per una giornata a Wimbledon: aveva vinto il sorteggio per poter avere i biglietti per il Campo 1 il sabato della seconda settimana, quindi non c’erano match di tabellone principale, tuttavia sono riuscito a vedere Roger Federer che si allenava sui campi laterali. Mi ricordo di aver sgomitato per arrivare vicino al campo e fare qualche foto sfuocata di Federer e di Tony Roche con la mia macchina fotografica monouso; sono sicuro di avere ancora da qualche parte quelle foto. È stata un’esperienza splendida”.

Per quel che riguarda il podcast, è cominciato tutto quando ero all’Università, dove studiavo Francese e Spagnolo. Durante le vacanze pasquali del primo anno mandai un tweet a David chiedendo se avessero bisogno di uno studente per uno stage. Erano alcuni anni che ascoltavo il podcast, e come a volte capita nella vita il mio tempismo fu perfetto, perché David e Catherine avevano deciso di mantenere la frequenza settimanale per il podcast ma avevano bisogno di aiuto a portare avanti il lavoro. C’era bisogno di qualcuno che potesse dare una mano con i social media, le ricerche, insomma un po’ tutto. E quindi per i successivi tre anni ho lavorato dietro le quinte ai podcast mentre completavo gli studi per la mia laurea”.

Non ho mai avuto intenzione di diventare una voce del podcast, ma nell’estate del 2018 mi hanno assunto part-time, e a un certo punto, mi hanno messo un microfono in mano e ho iniziato a trasmettere”.

Gli ascoltatori
del podcast avevano sentito parlare dello “Studente Matt” prima di sentire la
sua voce, e in breve tempo lo “Studente Matt” è diventato il “Laureato Matt”
per poi diventare…solo Matt!

Qual è stato il tuo primo torneo con l’accredito al collo?

È stato al Queen’s nel 2015, pochi mesi dopo aver contattato il podcast via Twitter. David voleva farmi sperimentare un torneo da dietro le quinte per la prima volta, non feci molto in quella occasione, andai a vedere un sacco di partite, assistendo anche alle conferenze stampa…

A sentir così sembra un sogno che si avvera…

Lo è stato veramente! C’era Nadal, c’era Wawrinka che aveva appena vinto il titolo a Parigi. Non riuscivo a credere di essere vicino a queste persone che prima per me esistevano solamente in televisione”.

Ho lavorato al Queen’s ogni anno da allora, mentre il primo torneo in cui sono stato accreditato come “The Tennis Podcast” è stato le ATP Finals 2018. Fu un passaggio molto importante per noi, perché non avevamo idea di come saremmo stati ricevuti a livello di ‘media’, e da quel momento in poi ci siamo resi conto che potevamo essere on-site, e produrre contenuti sul posto, che è il modo in cui rendiamo al meglio”.

C’è stato un momento in cui hai realizzato che la tua vita era cambiata?

Sì! Mentre stavo andando in Australia nel 2019, era sempre sembrato un tale volo pindarico, andare all’Australian Open, e mentre ero seduto sull’aereo andando a Melbourne ho pensato ‘Accidenti, gli ascoltatori del podcast hanno pagato per mandarmi in Australia”. È stato un momento molto intenso – ho provato insieme gratitudine, eccitazione, ansia. E una volta arrivato là c’è stata la giornata di Murray-Bautista Agut, nel quale andai a dormire dopo le 5 del mattino, puntando la sveglia per un paio d’ore più tardi per ricominciare tutto da capo. A quel punto ero talmente preso dal turbinio del torneo che non ho avuto il tempo di pensare a nient’altro. Poi, durante il mese successivo, ho cominciato davvero a realizzare quello che era successo, e non volevo far altro che partire di nuovo per andare a un altro torneo. Ho capito che potevo fare questa vita e che questa vita mi piaceva”.

Qual è l’aspetto di questa vita che di piace di più e quello che ti piace di meno?

Andare sul posto ai tornei è sicuramente la cosa che mi piace di più. Chiaramente non quest’anno… Si possono trovare contenuti migliori quando si è sul posto, si vive di adrenalina, e riusciamo a portare gli ascoltatori con noi attraverso il podcast. Inoltre, mi piace molto poter avere al mio fianco David e Catherine sia come amici sia come mentori. Trovo l’ambiente della sala stampa ancora abbastanza intimidante, giusta o sbagliata che sia ho l’impressione che tutte le persone che sono lì dentro siano più preparate ed esperte di me, che si siano guadagnate il diritto di essere lì, mentre io ci sono capitato quasi per caso. Mi rassicura molto che [David e Catherine] rappresentino il mio ‘spazio sicuro’, e sono molto felice di essere riuscito a trovare una situazione lavorativa così appagante così presto”.

Ciò che mi piace di meno… beh, i social media sono una battaglia costante e per il momento ancora difficile da risolvere. Ovviamente devo molto ai social media, è così che sono riuscito a contattare David, ci fanno arrivare tanti messaggi di supporto dagli ascoltatori, e rappresentano un’incredibile fonte di statistiche e di notizie oltre ad essere un formidabile strumento di marketing”.

Ma possono anche far affiorare i lati peggiori delle persone, abbiamo avuto la nostra dose di troll, specialmente dalle persone che non ascoltano il nostro programma. Perché quelli che ascoltano sanno che ci piace vedere il lato divertente dello sport e farci una risata ogni tanto, anche se ovviamente ci interessa molto il tennis e prendiamo il nostro lavoro molto seriamente. Riuscire a trovare il giusto tono sui social media può essere complicato. Magari è colpa mia che reagisco in maniera spropositata, ma un brutto commento può tranquillamente rovinarti la giornata se preso in maniera troppo personale”.

Catherine, Matt e David durante una registrazione (foto: The Tennis Podcast)

Essere un appassionato di tennis è una scelta di vita: richiede molte ore passate davanti alla TV, spesso ad orari poco socievoli. Come ha influenzato la tua vita negli anni dell’adolescenza?

Seguire il tennis può essere un’attività molto solitaria, a meno di non avere un gruppo di amici che anche loro hanno la stessa passione. Ma è comunque uno sport di nicchia e molto spesso si è soli a guardare le partite, ed è anche per questo che i social media hanno avuto un impatto molto importante sugli appassionati di questo sport. Ho bei ricordi delle notti passate a guardare l’Australian Open, quando mi alzavo preso per poter guardare alcune ore di tennis prima di andare a scuola, e probabilmente quello è stato il segnale che ero abbastanza dedicato e forse anche sufficientemente svitato da essere un appassionato di tennis”.

E a causa della pandemia ci ha costretto tutti a tornare le vecchie abitudini seguendo i tornei in televisione. Durante lo scorso US Open hai adottato una strategia piuttosto singolare, vero?

Sì. Il piano era quello di andare a New York, ma ovviamente la pandemia ha impedito a me e a tutti gli altri di farlo. Per produrre la copertura del torneo che avevamo in mente sarebbe stato necessario di fatto vivere con gli orari di New York pur rimanendo nel Regno Unito, e dal momento che vivo con i miei genitori, la situazione sarebbe stata abbastanza sconveniente sia per me sia per loro. Quindi David e Catherine mi hanno permesso di affittare un luogo tutto mio per poter vivere lì nel corso delle due settimane dello US Open e in questo modo poter essere più libero di seguire gli orari del torneo. E guarda caso c’è una rimessa di roulotte proprio a 10 minuti da casa mia, così sono riuscito ad affittare una di quelle roulotte per due settimane e coprire il torneo vivendo lì. Era molto più economica di qualunque altra sistemazione, e abbiamo trasformato la cosa in una specie di ‘fil-rouge’ per tutte le due settimane”.

Il tennis è uno sport che davvero dirotta la tua vita, il calendario diventa il calendario tennistico: non si pensa più in termini di mesi, aprile smette di essere aprile ma diventa l’inizio della stagione sulla terra battuta. Probabilmente è per questo motivo che ho finito per scoprire il podcast, perché avevo solo un amico che seguiva il tennis, e diversi altri che giocavano ma non erano appassionati di tennis professionistico, e quindi volevo qualcuno con cui parlare”.

Credo di aver capito che il tennis era parte di me quando, il giorno dopo la finale maschile di Roma nel 2006, quella tra Federer e Nadal durata cinque ore, andai a scuola dichiarando con grande senso di orgoglio che avevo guardato tutto il match dall’inizio alla fine”.

Per finire, ho preparato una serie di domande a raffica.

Slam preferito?
Australian Open

Torneo preferito?
Probabilmente ancora l’Australian Open, ma da un punto di vista personale direi il Queen’s perché è stato dove tutto è iniziato

ATP o WTA?
Non posso scegliere! Entrambi!

Fusione tra ATP e WTA: Sì o no?
Mi piacerebbe vedere una fusione; ma temo che non sia un’ipotesi realistica. I tornei migliori sono quelli combined, quindi credo che la fusione sarebbe una cosa positiva per il tennis, ma la vedo di difficile realizzazione.

L’autunno e i WTA Championships in Cina. È stata una decisione giusta o no?
La WTA ha probabilmente preso la decisione che aveva più senso in quel momento. Credo che sia positivo che la WTA abbia raggiunto il mercato asiatico, è dove c’è il maggior potenziale di crescita. Personalmente preferirei che i tornei di fine anno, sia ATP sia WTA, si trasferissero più spesso, diciamo ogni 2-3 anni. Capisco la logica di creare una tradizione in un luogo solo, di diventare parte del calendario locale, ma è davvero un peccato che il tennis non riesca a portare in giro maggiormente questi tornei.

Domanda classica: al meglio dei 3 o al meglio dei 5?
Non vedo perché si debba scegliere. C’è spazio per entrambi i formati. Non voglio veder sparire il meglio dei 5, dobbiamo mantenerlo.

Quale soluzione preferisci per il set decisivo di una partita tra le quattro che vengono proposte dai tornei dello Slam?
Nel caso di partite al meglio dei 3 set, vorrei vedere il set ad oltranza [come al Roland Garros]; Per i match al meglio dei 5 set, la soluzione dell’Australian Open con il tie-break a 10 punti è quella che preferisco.

Davis Cup classica o Kosmos Cup?
È una domanda difficile. Ho avuto la fortuna di assistere all’ultima finale con la formula classica nel 2018, e l’atmosfera era incredibile. Entrambe le formule hanno vantaggi e svantaggi. In definitiva, credo che una riforma fosse necessaria, quindi preferirei la versione Kosmos, ma con qualche cambiamento. Vorrei vedere un turno in più con la formula casa/trasferta, non credo che uno solo sia sufficiente, e poi fare una finale con solo 8 squadre, preferibilmente a eliminazione diretta.

Let o no-let?
Let.

Ad o no-ad?
Ad.

Coaching o no-coaching?
No-coaching.

Sessione diurna o sessione serale?
Sessione serale.

UTS o NextGen Finals?
NextGen Finals.

Djokovic, Federer o Nadal?
È un tranello? Da quale punto di vista?
Pensa al gioco della torre: chi butteresti giù dovendone eliminare due?
Così è ancora peggio! Manteniamo in vita tutti, e diciamo che in una valutazione complessiva il migliore è Nadal.

A Wimbledon, bianco o colori?
Colori.